giovedì 13 gennaio 2011

La pace e la religione

Il 2011 è un anno cruciale. Nel mondo restano ancora aperti
tutti i capitoli dell'agenda internazionale: dalla lotta alla fame
ai cambiamenti climatici.

In Italia è l'anno del 150° anniversario dell'Unità,
un momento per ripensare la nostra storia.

L'anno che si apre porta con se' incertezze persistenti sulle prospettive di uscita dalla crisi globale, ma anche appuntamenti cruciali nei quali la comunita internazionale dovra' dare risposte alle principali emergenze: la lotta alla fame, la promozione allo sviluppo, il consolidamento dei processi di pace, la minaccia dei cambiamenti climatici e del degrade ambientale, la tutela dei diritti e delle liberta' fondamentali,non ultima quella religiosa.
Il fondamentalismo di matrice confessionale ha accentuato negli ultimi anni la sua stida, mischiandosi alle principali crisi internazionali e spesso determinandole, come dimostra la persistente mattanza delle popolazioni civili in Somalia, ma anche le irrisolte vicende in Iraq, in India, in Pakistan e in mold altri Paesi, come ad esempio la Nigeria. In un simile contesto si iscrive anche l'aumento delle violenze contro i cristiani, troppo evidente per non suscitare interrogativi e per non sollecitare iniziative forti ed efficaci di dialogo interconfessionale e interreligioso. Il contributo delle religioni alla pace resta infatti indispensabile per arginare una tale deriva.
A maggior ragione, di fronte a tali minacce, ha poco senso la posizione di quanti vorrebbero confinare il fattore religioso nella sfera rneramente privata. Certamente non e' pensabile identificare legge divina e legge dello Stato. In questo sta la minaccia del fondamentalismo. Ma il fattore religioso non puo essere definito irrilevante nella convivenza. In un discorso tenuto alle autorita' civili della Gran Bretagna, il 17 settembre 2010, Benedetto XVI ha sostenuto che il ruolo della religione in ambito politico e sociale «non e' quello di fornire le norme obiettive che regolano il retto agire, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti; ancor meno e quello di proporre soluzioni politiche concrete — cosa che e' del tutto al di fuori della competenza della religione - bensi' piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce nell'applicazione della ragione, nella scoperta dei valori morali oggettivi».
A questo compito della religione nei riguardi delle cose della ragione - ha ricordato il cardinale Bagnasco all'ultima Conferenza episcopale italiana di cui e' presidente -, il Papa da' un nome: e' un ruolo, dice,«correttivo», nel senso che, illuminando, recuperala profondita' dei singoli principi e rischiara sull'applicazione che ne viene fatta, aiutando dunque, quando serve, a rettificare Ie distorsioni, a indirizzare meglio l'azione, a non lasciarsi deviare dai riduzionismi concettuali o dalle manipolazioni ideologiche, a non confondere mai il fine coi mezzi e viceversa.
La Chiesa e I'unità d'ltalia
Vale per i rapporti internazionali, per la definizione di nuove regole della convivenza mondiale, e vale all'interno dei singoli Paesi e comunità. Anche per la Chiesa che è in Italia, questo compito appare oggi forse più urgente che nel passato.
Per 1'Italia, che negli ultimi anni ha vissuto un progressivo degrado, il 2011 è anche 1'anno del 150° anniversario dell'unità, un appuntamento che mostra un duplice e contraddittorio aspetto. Da un lato lo spirito unitario e la stessa identita' nazionale minacciano di degenerare in particolarismi senza respiro, se non in vera e propria xenofobia, complice una classe politica volta più ad assecondare un consenso «al ribasso» che a governare i fenomeni della modernità. Dall'altro, sembra invece definitivamente superata la frattura storica che accompagnò il processo risorgimentale.Belfiore. (Del resto, la questione vale anche per 1'altra grande espressione politica popolare dell'Ottocento, cioè il socialismo).
Anche ai massimi livelli istituzionali è riconosciuto il definitivo tramonto di quella che un tempo veniva chiamatala la questione romana. «Il grande contributo che la Chiesa e i cattolici hanno dato, spesso pagandone alti prezzi, alla storia dell'Italia unita' e alla crescita civile del Paese» è stato sottolineato da Giorgio Napolitano, un presidente della Repubblica la cui storia personale non può essere certo sospetta di clericalismo, in un messaggio inviato al cardinale Bagnasco. Da parte sua, nella relazione tenuta a fine maggio all'assemblea dei vescovi, Bagnasco ha fatto riferimento al 150° anniversario dell'unità d'ltalia come a «una conquista e un ancoraggio irrinunciabili», invitando a pensare il Paese «come un insieme vivo e dinamico, consapevole e grato per la propria identità e per questo accogliente e solidale con quanti approdano con onestà e impegno alla ricerca di un futuro più umano».
Va però detto che Napolitano, come in altre occasioni nelle quali si è espresso sul significato di Nazione, non ha fatto una distinzione - che esiste - tra 1'Italia monarchica (e alla fine fascista) e 1'Italia repubblicana nata dalla resistenza. Anche per quanto riguarda il contributo cattolico la cesura è evidente. Del resto, Napolitano ha fatto menzione praticamente solo del periodo della resistenza e della stagione costituzionale, quando «l'intero mondo cattolico, sia pure non senza momenti di attrito e di difficile confronto, è stato protagonista di rilievo della vita pubblica, fino a influenzare profondamente il processo di formazione e approvazione della Costituzione repubblicana ».
Secondo il presidente italiano, «in quella felice stagione istituzionale, esperienze e culture diverse si sono riconosciute in un comune patrimonio di valori: liberta, centralità e dignità della persona, tutela del lavoro, solidarietà e coesione sociale». Valori «alla cui progressiva, concreta attuazione i cattolici hanno ampiamente concorso, con un forte impegno nel mondo della cultura, dell'associazionismo, del sindacato e del volontariato, cosi contribuendo ad arricchire il rapporto tra società civile e istituzioni pubbliche».
Diverso è il discorso sul processo di unificazione italiana vera e propria. Troppo rilevante e troppo duratura fu la questione romana, con la fine del potere temporale del Papa, per contenerla nel breve spazio di un articolo. Tonnellate e tonnellate di carta sono state scritte sull'argomento, senza che ancora sia possibile arrivare a conclusioni riconosciute universalmente. Che l'alleanza tra trono e altare sia stato il principale nemico di tutte le rivoluzioni europee di matrice illuminista è indubbio. Ed è anche difficilmente contestabile che il risorgimento italiano ebbe anche una chiara impronta anticattolica, che prescindeva dalla questione del Papa Re. Della questione romana, nata dalla stagione risorgimentale fu protagonista assoluto e quasi unico, se non altro per la lunghezza del suo pontificato, proprio Pio IX. Esaminarne la figura
nelle sue luci e nelle sue ombre - una figura più calunniata che spiegata da tanta storiografia e, piu di recente, da tanto cinema — e anch'essa impresa troppo complessa per lo spazio di un articolo. Ma sarebbe superficiale ignorare che dopo il breve e strumentale entusiasmo per il «Papa liberale», il risorgimento fu anche anticlericale e anticattolico.
Alle radici
del magistero sociale

In questo contesto erano destinate a sparire anche le voci cattoliche che al risorgimento diedero un contributo di idee - e talora di sangue - a lungo troppo sottovalutato, da Rosmini a Gioberti, da Pellico al padre Ventura, fino ai tanti sacerdoti che pagarono con la vita il loro patriottismo, come don Enrico Tazzoli, uno dei martiri di Belfiore. (Del resto, la questione vale anche per 1'altra grande espressione politica popolare dell'Ottocento, cioè il socialismo).
Se 1'architettura istituzionale e politica del Regno d'ltalia fu certamente liberale - e di un liberalismo destrorso incline a usare, piu che le idee e i principi di liberta, la spada e il bastone, fino a scivolare nelle guerre coloniali, nel fascismo e nell'orrore delle leggi razziali - la crescita sociale del Paese fu certamente nel segno del solidarismo cattolico e di quello socialista. Non a caso, se Pio IX resta il Papa chiuso in Vaticano per protesta contro Porta Pia, il suo successore Leone XIII (che in Vaticano restò confinato anch'egli) resta il Papa della Rerum novarum, la prima grande enciclica sociale, quella da cui si dipana tutto il magistero cattolico del Novecento e di questo nostro secolo appena incominciato. Si puo dunque concordare con Napolitano nel sottolineare il contributo cattolico all'Italia ricostruita dopo la tragedia del fascismo e concordare con Bagnasco sul principio di una società aperta all'accoglienza.
Per tornare alla questione del Papa e dell'Italia, la posizione giusta e quella espressa in poche parole da Paolo VI, forse il più grande Papa del Novecento, almeno per quanto riguarda la capacità di comprendere e di far comprendere che la questione religiosa è questione sociale e persino questione antropologica. Quel Papa ebbe a ringraziare la «Provvidenza che tolse al papato le cure del potere temporale perchè meglio potesse adempiere la sua missione spirituale nel mondo».
La prova della giustezza di tale affermazione, anche per limitarla alla sola vicenda italiana, sta nell'indubbio fatto che - a parte le connivenze con il potere, che ci sono in tutte Ie stagioni e che soprattutto in Italia, ma non solo, mandano talora un certo odore nauseabondo - l'apporto cattolico al Paese ha potuto esprimersi in modo pieno solo con la fine della questione romana. Il che significa, appunto, che la perdita
del potere temporale per la Chiesa e stata un dono della Provvidenza, che è il nome con il quale i cristiani chiamano l'intervento di Dio nella storia.  

di Renato Molia